Arrivo di un figlio e crisi di coppia
L’arrivo di un figlio, per una coppia, costituisce uno degli eventi normativi più intensi dal punto di vista emotivo e più difficili dal punto di vista psicologico e sistemico. Le difficoltà abbracciano sia la sfera individuale che quella duale, e richiedono la ricerca di un nuovo equilibrio maggiormente funzionale perché la coppia ne sopravviva.
Il nuovo arrivato è a tutti gli effetti un “terzo”, ma un terzo amato da entrambi, che si inserisce in una dinamica che era stata finora fortemente duale e che aveva funzionato. Esamineremo in questo articolo una delle tante eventualità che può accadere e che può portare la coppia ad una crisi o, in alcuni casi, alla rottura.
Una situazione tipo
Ciò che avviene con elevata frequenza è che uno dei partner, quasi sempre lei (ma può accadere anche a parti inverse), sia talmente assorbita dall’esperienza della maternità da adombrare, a volte solo per un periodo iniziale altre volte per molto più tempo, lui. Molti neopapà riportano di non sentirsi più considerati, di vedere tutte le attenzioni della propria lei rivolte al nuovo nato, il quale pare diventi un potente aspiratore delle energie materne. Il risultato ai suoi occhi è una donna stanca, una madre iperpresente ed una moglie assente. Tale dinamica risulta assolutamente normale nelle primissime settimane di vita del bambino, quando madre e neonato sono in simbiosi proprio perché, biologicamente, la prima è essenziale per la sopravvivenza del secondo.
La dinamica di coppia sottostante
Molti papà mal gestiscono internamente questa condizione, come se “non comprendessero” il senso e la natura transitoria del periodo di simbiosi neonatale madre-neonato. La ragione, in realtà, ha radici ben più profonde. Tale sensazione disturbante spesso è da ricondurre ad un’iniziale dinamica di coppia impostata rigidamente nei ruoli di partener accudente – partner bisognoso: lei trovava gratificante il benessere suscitato in lui dalle proprie cure, lui beneficiava delle attenzioni di lei, associando ad esse il messaggio “sono amato”. Va da sé che, nel momento in cui la stessa partner il cui bisogno gratificante sostanziava nel prendersi cura di qualcuno effettivamente si prende cura del bisognoso per eccellenza (il neonato), il marito rimanga l’unico per il quale il bisogno resta insoddisfatto e si senta, dunque, non amato. Molto di tutto questo resta sovente al di sotto della soglia di consapevolezza ed il malessere si manifesta, ad esempio, in continue litigate scatenate da motivi futili o nella scoperta del tradimento di lui.
L’aspetto chiave
La parola chiave del problema è “rigidità”. I ruoli della coppia, prima dell’arrivo del bambino, erano rigidi: io do, tu ricevi, sempre. Io sto bene solo se do, tu stai bene solo se ricevi. Se io do sempre, ho da te un feedback positivo e quindi mi sento amata, se tu prendi sempre ti senti accudito e quindi ti senti amato. L’origine della rigidità di queste dinamiche è da ricercare nelle relazioni con le figure di attaccamento infantili, ma per questo occorrerebbe una trattazione separata. Per ora basti ricordare che tutto ciò che non è flessibile, non è destinato a durare e provoca malessere.
Noi siamo in continuo cambiamento, le relazioni lo sono perché da noi gestite, il mondo intero lo è: tutto deve e può scorrere e cambiare, anche le ferite del passato possono essere rimaneggiate e guarite, per permetterci di vivere una genitorialità ed una relazione di coppia sane ed appaganti.