La fine del ciclo di vita
Definire il morire
La morte è un processo inteso come fine della vita biologica e/o relazionale di un individuo. Una persona può morire perché i suoi parametri fisiologici vitali risultano assenti oppure perché viene a mancare la sua capacità di poter interagire con l’ambiente circostante a causa della perdita della sua coscienza.
Con l’avanzare dei progressi della medicina, è stato possibile posticipare, rallentare o addirittura prevenire le cause che portano alla morte. Per questo motivo, oggi, l’aspettativa di vita si è abbondantemente allungata, portando al superamento di malattie che un tempo erano ritenute letali per l’essere umano.
Quando il quadro clinico dell’individuo ingloba una malattia grave e dalla prognosi infausta, la morte diventa oggetto di attenzione non solo della persona morente, ma anche dei servizi medici e assistenziali e della rete di accudimento formale ed informale che con esso si interfacciano. Per tale motivo, i processi psicologici che riguardano questo processo sono molteplici e vanno analizzati da diversi punti di vista.
Il punto di vista della persona anziana
Il pensiero che si debba morire può essere presente in tutte le fasce d’età, ma in particolar modo, si acuisce in termini negativi soprattutto quando si raggiunge l’età avanzata. Non risulterà strano, perciò, ascoltare, da parte delle persone anziane, pensieri riguardanti il tempo ridotto a disposizione e la vicinanza del momento della loro morte.
Tali pensieri, quando diventano fissi e rigidi, possono costituire fattori di scompenso ansioso e depressivo. In particolare, il pensiero che si stia avvicinando la fine della propria vita potrebbe nascondere preoccupazioni di varia natura, ad esempio:
- Paura di provare dolore al momento della morte;
- Paura di non avere una continuità di vita e di non essere più presenti;
- Paura per chi resta, per le sofferenze che potrebbe provare o per le preoccupazioni finanziare successive;
- Paura di non avere tempo a sufficienza per portare a termine degli obiettivi (portare la propria figlia all’altare o diventare nonni);
- Paura di essere un peso per il familiare.
Il modello a cinque fasi dell’elaborazione psicologica della terminalità
Kubler-Ross (1970) identificò cinque fasi dell’elaborazione della propria morte, non intese in modo rigido ed a-dinamico, bensì, in modo flessibile, complesso e non lineare. Spesso, anche se si è superata la prima fase, può capitare di ritornarci in momenti di maggior sensibilità.
La prima fase è quella della negazione, caratterizzata dal rifiuto della morte in sé. Si configura come una sorta di meccanismo difensivo, attraverso il quale la persona si protegge dal profondo senso di angoscia generalmente associato alla morte. Se questa fase non viene superata, ci potrebbero essere conseguenze psicologiche associate piuttosto insidiose.
La seconda fase è quella della rabbia, la quale costituisce una primissima reazione alla notizia della morte. Rabbia ed aggressività sono spesso associate a pensieri di auto ed etero-colpevolizzazione. In questa fase, la persona cerca di dare un senso all’esperienza della terminalità al fine di semplificarne la complessità e permettersi l’accesso all’elaborazione.
La terza fase è quella del patteggiamento in cui, data la complessità dell’evento da fronteggiare e la fallacia della strategia emessa nella fase precedente, la persona contratta con sé stessa e con altri la possibilità di guarigione attraverso meccanismi di controllo magico o simbolico. In questa fase vedremo i morenti dedicarsi alla preghiera, fare fioretti, stipulare patti con i parenti o richiedere eccessive rassicurazioni al personale sanitario circa la probabilità che le cure a cui sono sottoposti possano produrre degli effetti benefici.
La quarta fase è della depressione, la quale può definirsi reattiva quando è conseguenza dell’evidente limitazione funzionale e della percezione del dolore associato alla malattia oppure preparatoria, la quale, invece, fa riferimento ad un processo profondo e personale di accoglienza dell’idea del morire in sé.
L’ultima fase è quella dell’accettazione, la quale permette alla persona di ammettere il raggiungimento del limite della propria vita, anche da un punto di vista materiale (redigere un testamento) e relazionale. Non sempre questa fase viene raggiunta.
In conclusione, si può sostenere che il processo del morire sia molto complesso e può riguardare più punti di vista, in base al ruolo che si riveste. A seconda del punto di vista dal quale si affronta tale processo, si attivano diversi meccanismi psicologici. Quello esposto in questo articolo riguarda il processo del morire vissuto dalla persona anziana morente. Presto, analizzeremo come cambiano i processi psicologici se ad affrontare la morte è un familiare oppure il personale sanitario.
Dott.ssa Jessica Pisani
Bibliografia:
- Pezzullo, L., & De Beni, R., (2017). La fine della vita e il morire. In R. De Beni, e E. Borella, Psicologia dell’invecchiamento della longevità (pp. 435-456);
- Kubler-Ross, E. (1970), La morte e il morire, Assisi, Cittadella Editore.