Perché nelle fiabe c’è la matrigna?

Perché nelle fiabe c’è la matrigna?

Il bambino non è un adulto in miniatura. La struttura mentale di un bimbo piccolo, ad esempio, è priva del potere di astrazione tipico del pensiero adulto; egli è in grado di sviluppare associazioni tra immagini ma non ancora di elaborare concetti astratti e porli in relazione logica tra loro.

Il bambino si affaccia al mondo, lo esplora e cerca di ordinare gli stimoli costruendosi una mappa di significati quanto più possibile stabili, che gli permetta di attribuire al dato sensoriale un significato, che gli infonda sicurezza. La fase dei “perché” fa pienamente parte di questo processo.

Perché le fiabe

Le fiabe parlano appunto dei perché, utilizzando un linguaggio semplice, completo, e sufficientemente simbolico da far sentire il bambino contenuto, dunque protetto. La componente magica della fiaba, inoltre, si inserisce perfettamente nel pensiero del bambino: egli non ha bisogno di capire il perché gli elefanti volino o la luna parli, per lui è assolutamente naturale e non necessita di alcuna spiegazione.

Il mondo dei bimbi è un mondo magico, definito della “magia primitiva”, in cui l’uomo si è mosso dagli albori della specie, un mondo in cui ogni cosa è animata e ciascun personaggio agisce secondo una logica e perseguendo un fine.

Madre buona – Madre cattiva

Nelle fiabe non è presente l’ambiguità polivalente del reale: i personaggi sono chiaramente definiti, o sono buoni o sono cattivi, senza mezzi termini. In moltissime fiabe, ad esempio, è presente il personaggio della matrigna cattiva. Basti pensare alla matrigna di Biancaneve o a quella di Cenerentola.

Come mai al posto di quella “cattiva” non è presente una madre buona? Abbiamo già detto che le fiabe viaggiano su un livello simbolico e magico, per questo contenitivo. Nella realtà quotidiana ogni bambino entra in relazione con la propria madre reale, una madre che per quanto sufficientemente buona, essendo umana manifesta sia aspetti positivi (amorevoli ed accoglienti) che negativi (respingenti e abbandonici). Per il bambino è semplice mantenere a livello cosciente l’immagine della “mamma buona”, mentre è decisamente inquietante e destabilizzante mantenere a livello di coscienza l’immagine di una “mamma cattiva” e distruttiva.

Perché accade questo? Semplicemente perché per il cucciolo di uomo la mamma è l’unica fonte di sopravvivenza, è nutrimento, egli ne è totalmente dipendente ed in lei si rispecchia. L’idea di dipendere da una figura “cattiva” ed ancor più di rispecchiarsi in essa risulta talmente angosciante per il bambino da rivelarsi insopportabile, dunque viene respinta e proiettata all’esterno. Nella fiaba, la “mamma cattiva” viene proiettata sulla matrigna, una donna che sebbene impersoni il ruolo di madre, è a tutti gli effetti biologicamente un’estranea.

Il fatto che nelle fiabe il ruolo di “madre cattiva” venga impersonato da una matrigna tiene conto dell’impossibilità del bambino di pensare che degli atteggiamenti ostili possano essere messi in atto dalla vera madre, quella biologica. Persino la matrigna si rivela buona con i propri figli biologici. Lo sdoppiamento della figura materna è tipico del bambino ed è frutto dell’impossibilità di far coesistere due percezioni opposte, di assimilare l’ambivalenza del reale.

Non solo matrigne…

La matrigna non è l’unica figura femminile negativa presente nelle fiabe: ad esempio, oltre la matrigna, vi sono la regina malvagia, la strega che divora i bambini ecc… Esse sono tutte figure rappresentanti la proiezione di vari aspetti della “madre cattiva”, atteggiamenti materni frustranti.

In tutti i bambini, infatti, vi è la paura di ritrovarsi da soli, di essere abbandonati, possono essere gelosi di fratellini o sorelline ai loro occhi più benvoluti.

È proprio grazie a questi personaggi, avvolti nella cornice contenitiva del simbolismo, che le fiabe, per quanto possano talvolta narrare vicende spaventose o cruente (Hansel e Gretel sono imprigionati per essere mangiati dalla strega; la matrigna di Biancaneve le dà una mela avvelenata al fine di ucciderla ecc..), non solo non sono vissute dai bambini come se fossero racconti “horror”, ma sono dagli stessi tanto amate e ricercate.

Dott.ssa Giannalisa Colasuonno

Bibliografia

Santagostino, P., Guarire con una fiaba: usare l’immaginario per curarsi., Giangiacomo Feltrinelli Editore Milano, 2004.

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