L’anziano e il senso comune: il ruolo degli stereotipi sull’invecchiamento
Introduzione:
In psicologia, si definisce stereotipo una valutazione, un’idea o un’immagine mentale associabile ad una categoria di persone a cui sono attribuiti dei ruoli e delle aspettative. Non deriva da valutazioni dirette del fenomeno ma si apprende culturalmente, per sentito dire, per senso comune.
Date queste premesse, appare ovvio che si tratta di giudizi universalmente formati e tramandati che non trovano riscontro nella realtà e che finiscono per etichettare i singoli individui a delle categorie, privandoli di ogni diritto alla diversità, insita in ciascuno di noi.
Sebbene la loro natura sia altamente poco accurata, gli stereotipi, a volte, finiscono per essere degli auto-giudizi, capaci di convincere anche chi ne è vittima e, quindi, condizionano largamente il comportamento delle persone. In linea generale, il gruppo degli stereotipi riservati agli anziani va sotto il nome di “ageism” termine coniato nel 1969 dallo psichiatra Robert Butler. Esattamente come altre forme di discriminazione, l’ageismo corrisponde a delle considerazioni e a delle condotte finalizzate alla svalutazione di un individuo in ragione della sua età.
L’importanza del sistema di significati:
A cosa pensiamo quando siamo davanti ad un anziano?
I popoli più antichi ammiravano le generazioni più anziane tanto da attribuirvi generalmente ruoli di prestigio e di potere. Pensando alle tribù, già dai tempi dei nostri antenati australopitechi, si noti come il ruolo del capo tribù era generalmente offerto ai più anziani, perché considerati i più saggi, portatori dell’esperienza della vita. Se pensiamo al contesto lavorativo di oggi, invece, le persone più anziane fanno fatica a trovare lavoro perché ad esse vengono associate malattie, lentezza, stanchezza fisica e mentale.
Dove finiscono, allora, tutti quegli anziani che presentano un profilo clinico sano? Dove si collocano quegli anziani che mantengono una loro vivacità, attività mentale e fisica e vitalità in generale? Il linguaggio non è altro che un codice associato a dei significati che vengono trasmessi e compresi all’intero di un contesto culturale, al di fuori del quale, non avrebbero alcun senso.
È chiaro che, sebbene il codice dei nostri significati semplifichi la percezione della realtà attraverso valutazioni, etichette e giudizi, sia poco esaustivo per spiegare bene il fenomeno che vuole rappresentare e finisca, anzi, per creare semplificazioni ingenue ed inopportune, a volte dolorose.
Gli stereotipi legati all’anziano:
Se chiudessimo gli occhi e provassimo ad evocare l’immagine di una persona anziana, visualizzeremmo immediatamente caratteristiche di tipo fisico. La fisicità come connotato visibile ci dà immediatamente l’idea di chi è anziano e di chi non lo è. Le rughe in volto, i capelli bianchi o grigi, l’andamento lento oppure un po’ ricurvo in avanti.
Un simbolo certamente associato alla vecchiaia è il bastone. Questo simbolo si carica di molti significati generalmente attribuiti all’anziano. Rimanda all’idea di fragilità, di bisogno di supporto, di passività e di non autosufficienza. L’anziano che si sente ancora attivo da un punto di vista sessuale e/o sentimentale viene considerato un vecchio deviato, negando, così, uno dei diritti fondamentali dell’essere umano. L’anziano che si percepisce come attivo, desideroso di imparare, di esplorare nuovi contesti, può destare stupore, considerando che l’anziano, così come culturalmente lo concepiamo oggi, è rinunciatario, frustrato, passivo e depresso.
L’anziano che va in pensione è un anziano che finalmente potrà riposarsi, dando per scontato che si senta esausto da anni di lavoro. Proprio il pensionamento, in realtà, costituisce uno dei fattori di rischio per lo sviluppo di ansia e depressione senile, in quanto corrisponde anche al significato della perdita del proprio lavoro, di un ruolo e di una serie di abitudini.
Notiamo, quindi, quanta discrepanza ci possa essere tra i significati tramandati culturalmente e la realtà dei fatti che tiene conto di una serie di fattori e di risorse individuali che rendono le traiettorie di vita di ciascuno di noi assolutamente indipendenti e diverse.
L’anziano vittima dei suoi stessi stereotipi:
Anche gli anziani costruiscono, tramandano e si appropriano dei significati associati ai fenomeni. Non essendo esenti da questa grande macchina interpretativa, talvolta, finiscono per credere che gli stereotipi associati alla loro fascia di età siano davvero descrittivi della loro vita ed omologano il loro comportamento ad essi. Spesso, quindi, per giustificare i loro comportamenti sentiremo spesso la frase “E’ perché sono vecchio”.
L’anziano, inoltre, tende molto di più ad utilizzare uno stile attributivo interno, ovvero tende ad associare i propri fallimenti o le cause dei comportamenti a fattori che risiedono internamente. Questo potrebbe portare al successivo sviluppo dell’impotenza appresa. Questo fenomeno, ampiamente descritto da Seligman per la prima volta nel 1976, fa riferimento alla convinzione di fallimento percepita in relazione a qualunque compito, anche in assenza di prove a sostegno. Infatti, questo circolo vizioso conduce ad evitare di coinvolgersi in qualsiasi attività, mossi da pensieri come “non ce la farò”. Non raramente, questo circolo vizioso costituisce un fattore di rilievo nello sviluppo di sintomi di tipo depressivo e ansioso.
L’importanza della rete relazionale:
Il ruolo dei familiari è fondamentale per supportare l’anziano a sentirsi ancora dignitosamente competente ed attivo. Anche in presenza di una neuropatologia, l’indicazione è sempre quella di sostituirsi il meno possibile nelle attività di vita quotidiana e cercare di sostenere e rinforzare l’autosufficienza.
Ogni comportamento che emette il familiare viene letto ed interpretato dall’anziano attraverso i suoi occhiali, carichi di significato.
Coinvolgere l’anziano in attività in cui è in grado di manifestare competenza, anche più dei giovani stessi, pensarlo in un’ottica diversa, come quella persona che sebbene appartenga ad una fascia d’età mantiene le sue caratteristiche individuali che lo portano a discostarsi dalle etichette generali, incoraggiare anche davanti ad innocui fallimenti, selezionare ricordi ed esperienze in cui la persona ha avuto successo, sono solo alcune delle strategie che dovrebbero essere utilizzate al fine di bypassare congetture standard che sono poco descrittive ma, al contempo, molto dolorose per chi le vive.
Dott.ssa Jessica Pisani
Bibliografia:
- Mammarella et al., (2017). Emozioni, motivazioni e personalità nell’invecchiamento attivo. In R. De Beni, e E. Borella, Psicologia dell’invecchiamento della longevità (pp. 195-219);
- Maier, S. F., & Seligman, M. E. (1976). Learned helplessness: Theory and evidence. Journal of Experimental Psychology: General, 105(1), 3–46.