La fine del ciclo di vita (parte seconda)

La fine del ciclo di vita (parte seconda)

Introduzione

Il decesso di una persona significativa rappresenta un vero e proprio “taglio psichico” irrevocabile del legame affettivo, relazionale ed esperienziale che si era costruito con la persona deceduta. Tuttavia, il processo luttuoso non riguarda solo il defunto che in prima persona si trova a fronteggiarlo, se la causa del decesso è una malattia cronica la cui fine infausta è altamente prevedibile.

Il lutto è un percorso che coinvolge molti attori che accompagnano la persona verso la fine della sua vita. Caregivers informali, come la famiglia o gli amici del morente e caregivers formali, come l’equipe sanitaria che assiste e prende in carico il paziente, attraversano il periodo del lutto in modo più o meno differente. 

Variabili che influenzano il tipo di lutto

Non tutte le morti sono uguali e, di conseguenza, non tutte le modalità di elaborazione del lutto connesse possono essere uguali o sovrapponibili. Una variabile che, indubbiamente, può essere associata a modi differenti di approcciarsi alla perdita di una figura significativa è la tipologia di decesso. In particolare, esistono:

  • Morti improvvise: incidenti, malattie fulminanti, omicidi, violenze;
  • Morti improvvise ma con un grado minimo di prevedibilità: persone con diagnosi di malattia cronica per cui si prevede che possa o meno avvenire un decesso;
  • Decessi prevedibili: in caso di malattia oncologica o neurodegenerativa;
  • Decessi senza una fine: avvenuta morte cerebrale in presenza di vita biologica (accanimento terapeutico).

Quando il caregiver si imbatte in una morte prevedibile o improvvisa ma con un certo grado di prevedibilità la differenza è data dal tempo che ha a disposizione per anticipare il processo del lutto (lutto anticipatorio). L’imprevedibilità e l’irruenza, invece, con le quali si manifestano le morti per malattia fulminante e/o causate per violenze o incidenti, possono dar luogo a lutti traumatici, caratterizzati dall’impossibilità ad integrare tale esperienza con la propria storia di vita o con la storia relazionale mantenuta con il defunto. Non di rado, tali tipologie di lutto possono sfociare in condizioni di lutto complicato.

Nel caso dei decessi senza una fine, possono innestarsi emozioni e pensieri, talvolta ambivalenti quali: senso di impotenza, senso di colpa, difficoltà a prendere decisioni, rabbia, angoscia, tristezza, dubbi etici. Infatti, è proprio in questi casi che spesso i caregivers sono posti davanti a delle decisioni complesse, i cui esiti non possono essere etichettati come giusti o sbagliati, razionali o irrazionali, soprattutto se, la persona morente, non ha espresso per tempo le sue volontà a riguardo.

Altre variabili influenti nella modalità di elaborazione del lutto riguardano: la storia di vita, le caratteristiche di personalità individuali, le strategie di coping, gli schemi cognitivi, il supporto sociale percepito ed effettivo, lo stile di vita e la predisposizione genetica. 

Psicotanatologia e comunicazione di cattive notizie

La psicotanatologia è una branca della psicologia che si interessa allo studio dei processi legati al morire, da un punto di vista psicologico. Alcuni degli oggetti di studio di tale disciplina riguardano il supporto psicologico a chi resta, la comunicazione del decesso alla famiglia, l’accompagnamento al riconoscimento del corpo oppure il sostegno psicologico nel prendere decisioni sanitarie complesse legate alla sopravvivenza della persona cara. 

Comunicare il decesso alla famiglia

Molti modelli si sono preoccupati, nel corso del tempo, di individuare una “buona” modalità di comunicazione del decesso nei contesti clinici. Tuttavia, gli studi convergono nel sostenere che non esistono modalità migliori di altre, ma solo modalità meno disfunzionali di altre. Nello specifico, qualunque sia il modo con cui si comunicherà la brutta notizia alla famiglia, nulla esimerà quest’ultima dalla sofferenza legata alla perdita. Si deve cercare, quindi, di non rendere la situazione ancora più dolorosa di quella che è attraverso una comunicazione che si caratterizzi come sensibile ed empatica.

Nonostante ciò, non ci si può porre l’obiettivo o l’aspettativa onnipotente che le parole utilizzate possano sollevare la famiglia dal dolore. Se non esistono da un lato le parole giuste, deve poter esistere la capacità di accogliere e gestire le emozioni negative che seguono la comunicazione del lutto. Il sostegno richiesto in tali situazioni deve essere sufficientemente buono ma non necessariamente perfetto. Il rischio è che il comunicatore si fonda con il dolore della vittima e faccia proprio l’obiettivo di impedire la sofferenza alla stessa.

Allo stesso modo, l’operatore deve essere pronto ad ascoltare i pensieri e le emozioni e a comprendere i comportamenti del parente che riceve la notizia, al fine di poterli gestire, per quel che è possibile, e poterli accettare come fase naturale e fisiologica successiva alla comprensione della perdita della persona cara. Non è utile parlare sempre, a volte, i momenti di silenzio possono dare spazio al parente, piuttosto che all’ansia del “dover per forza dire qualcosa” per gestire o controllare la propria angoscia o senso di impotenza. Non è utile, neppure, voler dare un senso logico all’esperienza vissuta, in quanto taglierebbe fuori le emozioni. 

Conclusioni

Il modo in cui una persona elabora il lutto è strettamente soggettivo, in quanto dipende dall’intersecarsi di alcune variabili che differiscono da situazione a situazione e da individuo ad individuo. Sicuramente, alcune variabili significative possono essere la tipologia di decesso avvenuto, le caratteristiche bio-psico-sociali della persona che elaborerà questo processo e la comunicazione del decesso.

Data la complessità e la forte individualità che caratterizza l’elaborazione del lutto, non esistono dei protocolli universali che, volta per volta, possono essere utilizzati per supportare le famiglie in questo percorso. I clinici devono avere la capacità di cucire interventi ad hoc sui loro pazienti al fine di accompagnarli in uno dei processi più dolorosi che si possano fronteggiare nel corso della vita. 

Dott.ssa Jessica Pisani

Bibliografia:

Pezzullo, L., & De Beni, R., (2017). La fine della vita e il morire. In R. De Beni, e E. Borella, Psicologia dell’invecchiamento della longevità (pp. 435-456).

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