Violenza assistita in famiglia: il dolore invisibile dei figli

Violenza assistita in famiglia: il dolore invisibile dei figli

Esiste una grave forma di violenza molto diffusa e per lo più sommersa: la violenza assistita. 

Essere vittima di violenza assistita vuol dire assistere ad una forma qualsiasi di maltrattamento operato attraverso atti di violenza fisica, verbale, psicologica, sessuale ed economica su figure di riferimento o altre figure affettivamente significative adulte o minori (Cismai, Coordinamento italiano dei servizi contro il maltrattamento e l’abuso all’infanzia, 2005).

La violenza assistita può essere diretta (il bambino la esperisce direttamente perché avviene nel suo campo percettivo) o indiretta (il minore è a conoscenza della violenza e/o ne percepisce gli effetti). 

Un fenomeno invisibile

Mio marito mi picchia, è vero, ma come padre è uno splendido papà. Non ha mai alzato un dito sui figli.

Se picchia me posso resistere, l’importante è che non tocchi i miei figli”.

Il bambino non si è accorto di nulla, dormiva nella stanza accanto.

La bambina per fortuna è piccola, non capisce.

In contesti di violenza non è infrequente ascoltare affermazioni di questo tipo. E’ bene ricordare che i bambini -anche molto piccoli- percepiscono molto più di quanto possiamo immaginare: ogni minima tensione, anche solo letta sul viso del genitore, giunge direttamente al loro sistema nervoso, allertandolo sulla presenza di una minaccia.

Allo stesso tempo i genitori, purtroppo, se non ritengono che il proprio figlio possa aver risentito dell’evento accaduto (perché “nell’altra stanza”, perché “piccolo”, perché “non presente al momento” ecc), non si preoccupano di accogliere né tantomeno contenere le emozioni del bambino. Ne risulta un figlio spaventato per qualcosa che, non essendo esplicitato, terrorizza ancor di più, e due genitori emotivamente assenti e spaventanti (anche se per ragioni diverse).

La sofferenza del minore non trova spazio di espressione e sanificazione ed egli resta sovrastato da una diffusa ed inglobante sensazione di pericolo, terrore senza sbocco. 

Il bambino resta “invisibile” in quanto il suo dolore è negato, spesso neppure visto. 

Le conseguenze sullo sviluppo psicofisiologico dei bambini

L’ambiente familiare ove si verificano episodi di violenza (fisica, verbale, psicologica e/o sessuale) è traumatico nel suo complesso e le conseguenze sulla salute dei suoi membri sono rilevanti, ancor più se si tratta di minori.  

Il bambino non ha quasi mai la possibilità di raccontare quanto vissuto ed esperito a casa e, in assenza di una narrazione, anche ciò che vive non acquista un senso. I relativi ricordi sono (anche a distanza di molti anni dall’accaduto) spesso assenti o frammentati, confusi. “Non ricordo niente della mia infanzia.”

Ma come ben sappiamo, quando l’emozione non trova accoglimento, il corpo ed il comportamento si fanno messaggeri. Così, a seconda dell’età del bambino, possiamo riscontrare sintomi differenti. 

Nei primi anni di vita i bambini si attivano soprattutto a livello corporeo:

  • Battito cardiaco e respiro accelerati, pressione sanguigna aumentata;
  • Pianto frequente o grida;
  • Momenti di “assenza”, sguardo fisso ed assenza di risposta a stimoli umani, ovvero risposte di tipo dissociativo per proteggersi da emozioni quali la paura intensa ed il vissuto di impotenza;
  • Ritardo psicomotorio e cognitivo;
  • Mancata fase del No;
  • Comportamenti aggressivi.

In età scolare i sintomi più frequenti registrati sono:

  • Disturbi del comportamento;
  • Tono dell’umore depresso, disinteresse;
  • Difficoltà di apprendimento;
  • Ansia, stato di allerta costante;
  • Disturbi del sonno ed incubi frequenti;
  • Giochi ripetuti a contenuto traumatico.

Nella fase adolescenziale, infine, è molto facile riscontrare:

  • Autolesionismo;
  • Disturbi alimentari;
  • Ritiro sociale, umore depresso;
  • Dipendenze;
  • Comportamenti antisociali o comunque aggressivi.

Ogni bambino vittima di violenza assistita, in generale, può riportare difficoltà nella regolazione affettiva, disturbi del sonno, alimentazione, mal di testa o mal di pancia non giustificati da una condizione medica; difficoltà di controllo del comportamento o blocco emotivo; difficoltà nel regolare la vicinanza con gli altri, marcata sfiducia nel prossimo, eccessiva reattività (reazioni che appaiono esagerate in relazione agli stimoli che le hanno innescate). 

Cosa si può fare

Le conseguenze su elencate sono da leggersi in un’ottica altamente probabilistica ma non deterministica, questo perché – per fortuna – molti bambini hanno a disposizione risorse interne e/o esterne compensative che mitigano gli effetti delle esperienze delle quali sono testimoni.

Un bambino, ad esempio, che sin dai primi mesi di vita diventa vittima di violenza domestica è molto probabile che subisca conseguenze psicologiche decisamente più gravi rispetto ad un adolescente che si ritrova un genitore (magari acquisito) violento a 16-17 anni e per poco tempo. Costituisce un’importantissima fonte di resilienza, altresì, la presenza di un genitore che nonostante il proprio vissuto traumatico risulti protettivo ed accudente, in grado di riconoscere, legittimare ed accogliere la sofferenza del bambino. Stesso dicasi per altre figure affettivamente rilevanti quali nonni, zii, insegnanti che riescano a svolgere in modo continuativo la funzione di porto sicuro emotivo.

Ricordiamo, in ogni caso, che l’ONU (2005) e la WHO (2010) riconoscono la violenza domestica sulle donne e sui bambini – anche assistita – come un reato penale. Se sei vittima di violenza ed ancor più, se i tuoi figli sono vittime di violenza diretta o assistita, non esitare, contatta un centro Antiviolenza nella tua zona. 

Se invece sei un adulto con una storia di violenza in famiglia nell’infanzia e/o adolescenza, sappi che, anche se sono trascorsi molti anni, tramite un buon percorso psicoterapeutico, puoi prenderti finalmente cura delle ferite che porti dentro di te. Quel/la bambino/a terrorizzato/a, che tanto avrebbe voluto essere visto/a, abbracciato/a e protetto/a, è ancora dentro di te, con le braccia tese e gli occhi gonfi di lacrime. 

Dott.ssa Giannalisa Colasuonno

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